Il brigantaggio ad Agerola dai Monti Lattari alla Costa d´ Amalfi

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    Ci giunge una foto con delle note a Positanonews. Non è detto che si debba pubblicare solo cronaca, un ricordo ai Briganti ad Agerola e in  Costiera amalfitana che più sulla costa d’ Amalfi e Sorrento solevano stare sui Monti Lattari e in particolare  ad Agerola. (Nella foto di apertura Francesco Vuolo è il primo a sinistra, gurdando la foto. A destra, in piedi con il cappello in mano, il fratello maggiore Michele Vuolo ed alcuni componenti della banda)

    Il brigantaggio post risorgimentale iniziato nel 1860 storicamente si è concluso alla fine del 1865, anche se rigurgiti si ebbero fino al 1871. Giuseppe Miozzi, però, nel volume “I carabinieri nella repressione del brigantaggio – ed. Funghi-1923-Firenze”, divide quel periodo in due parti: “[…] fino al 1863 il brigantaggio politico, quello di delinquenza ordinaria fino al 1870“.   Il brigantaggio successivo all’Unità d’Italia è considerato da alcuni storici come movimento di lotta sociale. La vendita dei terreni del demanio ai benestanti in parte del nord, unica risorsa dei contadini del sud, influì ad aggravare il malcontento dei meno abbienti. La delusione fu tanta per coloro che avevano riposto fiducia nell’impresa garibaldina di poter occupare le terre demaniali. Si creò una situazione di malcontento della gente del sud, sul quale pesava anche la crisi economica dello Stato Sabaudo. Il pagamento di nuove tasse, quasi triplicate, rispetto a quelle imposte dai Borboni spinsero i più violenti tra i contadini a ribellarsi. La leva militare obbligatoria portò tanti a fuggire sui monti per sottrarsi all’obbligo di legge.

     

     

     

     

    Nel 1863 ad Agerola,  il brigantaggio riprese pienamente nella forma organizzativa.
    La nascita di due bande, quella di Giuseppe Apuzzo, detto ò Cascettone, e quella di Francesco Vuolo, ò Viettechese, fu causa di molti disagi tra la popolazione, per cui la Beneficenza dovette assistere alcuni travagliatori della montagna che non potevano, per motivi di sicurezza, andare a lavorare nei boschi.

     

    BRIGANTI - AGEROLA

     

    Contro l’imperversare dei briganti operarono ad Agerola i Carabinieri, un reparto del 7° Fanteria, rinforzi mobili e la Guardia Nazionale. Nonostante questo dispiegamento di forze antirepressive, la situazione diveniva sempre più insostenibile.

     

    GUARDIA NAZIONALE - CAVALLERIA - AGEROLA CARABINIERE A CAVALLO NEL  1815 - AGEROLA CARABINIERE - AGEROLA

     

    Ed allora un nostro concittadino, don Gennaro Avitabile, Commissario Straordinario al Comune, si pose coraggiosamente a capo della Guardia Nazionale ed insegui alcuni briganti. L’impresa non falli perchè i suoi commilitoni furono all’altezza della situazione.

     

          - Comandante MARCHESE Lodovico Mariscotti Berselli -               - GUARDIA NAZIONALE - AGEROLA - CARABINIERI - MONUMENTO AI CADUTI - AGEROLA

     

    La Guardia Felice Coccia si merito sul campo la Medaglia d’ Argento al valore.

    Nel 1864 il brigantaggio alzò il tiro e sequestro in località S. Croce il marchese Stanislao del Tufo, in viaggio verso Agerola assieme ad altre persone. La liberazione del sequestrato avvenne soltanto dopo qualche giorno.

     

    BRIGANTE - AGEROLA BRIGANTE - AGEROLA BRIGANTE - AGEROLA


    In quel anno un temibile malvivente, che più tardi divenne capobanda, Pietro Oliva detto Piero é Lia, si affacciò sulla scena con vari delitti. Sul suo capo fu posta una grossa taglia. In seguito ai delittuosi eventi, si aggiunse ai reparti stazionanti in ogni frazione un’altro dislocato sulla montagna, in località S. Maria dei Monti.
    Le spese per la repressione dei briganti divennero molto pesanti ed altrettanto gravose furono quelle per assistere i numerosi poveri, cui si sommarono gli assegni ai familiari dei malviventi catturati e deportati in Sardegna.

     

    BRIGANTI - AGEROLA


    BANDE BRIGANTESCHE OPERANTI DOPO IL 1860:


    Banda capeggiata da Giuseppe Mansi, amico di frà Diavolo.
    Gruppo di Angelo Lauritano.
    Banda di Antonio Cavallaro, ‘o Cavallaro.
    Banda di Gennaro Cretella, ‘o Diavolillo.
    Banda di Gennaro Patrucci, ‘o Chiuppetiello.
    Banda di Peppino Apuzzo, ‘o Cascettone.
    Banda di Francesco Vuolo, ‘o Viettechese, originario di Vettica di Amalfi.
    Banda di Pietro Oliva, Pieto ‘e Lia.
    Gruppo di Ferdinando Varone.
     

    BRIGANTE - AGEROLA BRIGANTE - AGEROLA BRIGANTE - AGEROLA


    Il 1871 fu la fine del brigantaggio, il capobanda Pietro Oliva fu assassinato dagli stessi seguaci che componevano la sua cricca. La fine del temibile brigante cancello le apprensioni di un’intera popolazione. Quando il cadavere di Oliva fu trasportato in piazza S. Lazzaro e venne riconosciuto dai cittadini e dal sottoprefetto di Castellammare, si tiro un respiro di sollievo. Ora ci si poteva dedicare ad opere sociali senza avere altre preoccupazioni sulla sicurezza della gente!
    Pertanto nel corso dell’anno la Giunta Municipale tenne solo due sedute con all’ordine del giorno il brigantaggio.

    Proporre un corso di storia sul fenomeno del brigantaggio appare, oggi, ancora utile, per rileggere e comprendere più a fondo le origini della nostra arretratezza economica. Questo non solo e non tanto al fine di individuare come cause responsabilità politiche e discutibili strategie economiche, quanto al fine di rinvenire anche nel nostro presente quei segni di rinascita culturale che alimenta le scelte di tanti onesti uomini e donne del Sud. “Il Sud, terra di briganti” non è quindi più un marchio infamante, ma in uno scenario intellettualmente cambiato, è un segno “forte” di appartenenza, una traccia della memoria.

     

    Premesso che:

     

    la ricostruzione delle vicende del brigantaggio “alle porte di Napoli” è basata sulla documentazione (poliziesca e giudiziaria) lasciataci ovviamente dai vincitori, e da ciò derivano due elementi essenziali che il lettore dovrà prendere in considerazione:

     

     

    1) I vinti fanno sentire la loro voce solo attraverso la deformazione attuata dai loro persecutori.

     

     

     

    2) La cronaca del brigantaggio diventa in modo prevalente politica dei metodi repressivi. (pagina XIII)

     

    *

     

    In definitiva si tratta del racconto minuzioso di una battaglia nel corso di una guerra sociale di vastissime proporzioni, che decretò, ancora una volta, la sconfitta del contadino del Sud, e la condanna alla rassegnazione: FIDES VINCIT MISERIAS, come appunto è scolpito sulla facciata della cattedrale di Lettere, patria dei briganti. (pagina XIV)

     

    Fonte: “I Briganti dei Monti Lattari” – di Antonio Barone – Città di Castellammare di Stabia Edizioni – 1985?

     

     

     

    Rif.:

     

    La svolta repressiva, nella direzione di un’azione piu’ “poliziesca” che “manu militari”, impressa dalla febbrile attività del nuovo sottoprefetto (Serpieri, insediatosi il 12 giugno 1863), viene a coincidere, nell’estate del 1863, con l’approvazione della Legge Pica (o egge 15 agosto 1863), frutto delle conclusioni alle quali era pervenuta la Commissione d’Inchiesta sul Brigantaggio, conclusioni contenute nella relazione Massari, la quale, pur mettendo in risalto gli aspetti socio-economici che eran all’origine del fenomeno, finiva poi col prospettare una massiccia repressione per ripristinare una buona volta l’ordine nel Mezzogiorno.

     

    La Legge Pica, infatti, considerava in stato di brigantaggio quasi l’intero meridione, ad esclusione di poche provcince e tra questa la provincia di Napoli.In quasi tutte le altre province, tra cui Salerno, furono istituiti tribunali militari, i quali da quel momento iniziarono un intenso lavoro. Era prevista la fucilazione immediata per chi avesse opposto resistenza; si promettevano alleggerimenti di pena a quelli che si presentassero spontaneamente; si istituivano premi per collaboratori e delatori; si estendevano le misure contro il manutengolismo e si dava facoltà di arruolare volontari in squadriglie antibrigantesche. (Pagina 144 – dell’Opera su indicata).

     

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    La Legge Pica diede così l’avvio ad un vero clima di perpetuo stato di assedio che si prolungò in sostanza fino alla fine dell’anno 1865.

     

    Scaduta infatti la legge col 31 dicembre ’63, essa fu subito sostituita da un’altra legge contenente, tutto sommato, le stesse disposizioni. Questa legge, datata 28 febbraio 1864, con successive proroghe, giunse appunto alla fine del 1865.

     

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    Accertato che:

     

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    Nessuno vuole che si parli di “occupazione piemontese” in Italia meridionale e la Camera dei Deputati non consente ad un suo membro di presentare il 20 novembre del 1861 e di illustrare una mozione che è un violento atto di accusa contro la politica del Governo cui si attribuisce la responsabilità di aver provocato nelle province napoletane una situazione che non si riesce piu’ a controllare.

     

    “Gli uomini di Stato del Piemonte e i partigiani loro – afferma il duca di Maddaloni Francesco Proto Carafa deputato di Casoria – hanno corrotto nel Regno di Napoli quanto vi rimaneva di morale.

     

    Hanno spoglio il popolo delle sue leggi, del suo pane, del suo onore…e lasciato cadere in discredito la giustizia…Hanno dato l’unità al paese, è vero, ma lo hanno reso servo, misero, cortigiano, vile.

     

    Contro questo stato di cose il paese ha reagito. Ma terribile ed inumana è stata la reazione di chi voleva far credere di avervi portato la libertà…

     

    Pensavano di poter vincere con il terrorismo l’insurrezione, ma con il terrorismo crebbe l’insurrezione e la guerra civile spinge ad incrudelire e ad abbandonarsi a saccheggi e ad opere di vendetta.

     

    Si promise il perdono ai ribelli, agli sbandati, ai renitenti. Chi si presentò fu fucilato senza processo.

     

    I piu’ feroci briganti – conclude il deputato di Casoria – non furono certo da meno di Pinelli e Cialdini”.

     

    Le accuse mosse dal duca di Maddaloni irritano il governo: a Torino non si può ammettere che un deputato meridionale faccia proprie le accuse che i legittimisti borbonici muovono agli uomini del nuovo regime. Il deputato di Casoria è invitato a ritirare la sua mozionee, al suo diniego, La Presidenza della Camera non ne autorizza la pubblicazione negli Atti parlamentari e ne vieta la discussione in aula perchè “espressione della piu’ bieca reazione”.

     

    La mozione che avrebbe voluto presentare e discutere il deputato di Casoria denunzia una situazione che non puo’ essere sottovalutata.

     

    E’ veramente l’insurrezione in atto nel Mezzogiorno manifestazione spontanea di chi non accetta il nuovo regime, o non è forse la naturale reazione ad un metodo di governo che, con i suoi sistemi, ha irritato intere popolazioni?

     

    Non con le armi si restaura l’ordine e si restituisce la tranquillità ad un paese, ma colpendo chi con il sopruso, la corruzione e il malgoverno opprime e viola i sacrosanti diritti di un popolo.

     

    “Dateci un buon governo e nessuno vorrà tornare al passato. Siate umani e giusti nel punire i traviati! Non spingeteli con la vostra ferocia, che non conosce limiti, alla reazione e alla vendetta. Non spingeteli al brigantaggio Non aggravate con spietati metodi di repressione una situazione di pericolo che, conseguenza soltanto del vostro malgoverno, non siete in grado di affrontare”.

     

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    Fonte: “Brigantaggio Meridionale (1806-1863)” di Tommaso Pedio – Capone Editore Srl – Cavallino di Lecce – 1987 – Lire 25.000.

     

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    Pertanto ancora oggi:

     

    da ” Briganti Salernitani” nr. 6 di Clodomiro Tarsia (testi e ricerche), supplemento al numero odierno de Il Mattino, alle pagine 9 e 10 – dedicate al Nostro Francesco Vuolo – leggiamo quanto segue:

     

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    I farneticanti proclami del capobanda Francesco Vuolo, il bandito di Vettica di Praiano che tenne in scacco le forze di repressione.

     

    “Libertà o Morte”!

     

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    Quando briganti e manutengoli furono invitati a costituirsi in cambio di prebende e di miti condanne, Francesco Vuolo, di Vettica di Praiano, montò su tutte le furie e si trasformò in un ringhioso cagnaccio. Urlò che si trattava di un altro inganno dei “piemontesi” al quale ogni partigiano di Re Francesco doveva rispondere per le rime. E, di lì a qualche giorno, fece circolare un controploclama scritto di suo pugno. Il testo, anche se sgangherato e zeppo di errori, non lasciava dubbi sulla sua indignazione e sui suoi propositi, affermando testulamente:

     

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    Viva il Brigantaggio. Miei cari superiori del Regno di Napoli non ci bastiamo a disgrazirvi di giò che ci avete fatto e di intentere per la nostra presentazione voi marciate sempre con l’incannamento, ma noi non siamo pesce, il pesce si prende con l’incanno, ho nell’amo ho nella rete.

     

    Noi andiamo trovando ho morte ho libertà perchè ci sono stati tanti colleghi nostri che si sono presentate. E’ già si sa che cosa ne avete fatto. Ci credete che noi siamo ignoranti. Levatevi dalla testa questa presendazione perchè noi andiamo trovando ho la libertà ho la morte.

     

    Vi salutiamo tutta la banda e mi firmo il capo della banda FRANCESCO VETTECHESE.

     

    Scusate signori miei si ho mancato a scrivere perchè io non sono stato a studio.

     

    *

     

     

     

    Dunque, ancora una volta ci si vuole inculcare la MENZOGNA per VERITA’. Secondo i canoni della bugiarda retorica risorgimentale, cantata dagli innumerevoli “Pennaruli e Paglietti”, come li definiva Ferdinando II, ci presentano, ancora una volta, in questo caso, Francesco Vuolo, come Brigante, farneticante, sgrammaticato e sgangherato.

     

    Ma, è comprensibile, anche a un asino, che la sostanza del “proclama” del Vuolo 1) è in perfetta sintonia con la mozione del Duca di Maddaloni del 20 novembre 1861. 2) E’ un Patriota che lotta per il suo Re Francesco II. 3) Il suo grido ” o Libertà o Morte” è l’antico e riconosciuto motto di tutte le rivoluzioni per la Libertà. 4) I veri briganti/terroristi sono gli ingannevoli savoiardi-piemontesi, invasori di un Regno libero e indipendente, senza neppure una dichiarazione di guerra.

     

    In conclusione, in questa tragica vicenda, appare evidente, la figura del “rognoso cagnaccio” è di appannaggio proprio dell’autore dell’articolo.

     

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